Bollettino del CAI – Anno 1875, pagg. 218-223

 

 

Escursione alla Caduta delle Marmore e dintorni.

 

Domenica 18 aprile 1870 la sezione di Perugia del Club Alpino Italiano fece la prima gita di inaugurazione, alla quale presero parte, oltre allo scrivente, i signori professore Bruschi, conte V. Cesarei, dottor Cotta­favi, conte F. Donini, colonnello Fazioli, capitano Montemerlo, conte R. Pucci, Tartarini.

Alle 4,20 antimeridiane partirono da Perugia per Terni ove giunsero alle 8,12. Dopo essersi trattenuti breve tempo in città, alle 9 uscivano da Terni per la barriera della Valnerina, incominciando a percorrere la nuova strada provinciale, che costeggia la destra del Nera.

Era una giornata serena, e brillava un sole splendidissimo; non poteva darsi tempo migliore per una escursione. Dopo tanti giorni di pioggia, di continui sbalzi di temperatura, di venti freddi e  molesti, si poteva ben dire che la primavera ricacciava definitivamente l'inverno nelle stagioni che furono. La comitiva, allegra e vivace, non poteva non risentire l'in­fluenza di così splendido giorno, ed era veramente lieta di usufruirlo in modo conveniente, recandosi a visitare tante bellezze naturali, sparse a profusione in tutta la valle del Nera, ma preferibilmente presso la stu­penda caduta delle Marmore. Dispiaceva a coloro che facevano parte dell'escursione, che gli altri colleghi alpinisti non fossero con essi, ed avrebbero desiderato che la tema esagerata del tempo cattivo od i potenti lacci di quel buon uomo che si chiama Morfeo, non avessero tenuto a domicilio coatto nessuno dei loro colleghi.

Dopo aver percorso il primo tratto rettilineo della strada della Valne­rina che da Temi si prolunga fino all'incontro del canale o forma di ser Simone, gli alpinisti incominciarono ad osservare le potenti concrezioni calcaree che fiancheggiano uno dei lati della strada e che stanno anche oggi a rappresentare la via che le acque tenevano in epoche lontanissime, quando l'orografia di quei luoghi aveva una disposizione ben diversa dall'attuale, e quando il solo fiume Velino, non congiunto col Nera, con­duceva le sue acque nel bacino lacustre di Terni. Attualmente il fiume Nera scorre in. quella regione profondamente incassato nelle antiche de­posizioni calcaree del Velino, e l'altezza di codeste deposizioni sopra il pelo dell'acqua del fiume è in alcuni luoghi, come, ad esempio, sulle alture di Santa Maria Maddalena, non minore di 80 metri. Nel letto del fiume si trovano pure frequentissime, poderose concrezioni calcare e a su­perficie arrotondata, le quali superano il livello dell'acqua; in taluni luoghi codeste concrezioni sono così numerose e siffattamente disposte che si può passare sulla sponda opposta del fiume camminando o saltando sopra le concrezioni. In nessun luogo però si offre un esempio più bello di tale disposizione come nel tratto del fiume che sta alla base dei colli di Santa Maria Maddalena. Là gli alpinisti discesero e valicarono il fiume camminando sulle concrezioni; non si può dire che in quei luoghi vi sia un ponte naturale completo, perchè vi è un tratto di fiume di un metro circa di larghezza, per superare il quale d'ordinario bisogna spiccare un bel salto; gli alpinisti però fecero a meno di questo esercizio ginnastica, perchè le genti del luogo vi avevano costruito un ponticello con rami di piante intessuti con vimini; ponticello elastico e di una solidità che la­sciava certo a desiderare.

Le acque del fiume si perdono colà fra le anfrattuosità degli scogli, attraversano gli stretti cunicoli che in essi sono tagliati, e, trattenute dall'ostacolo che si oppone al loro libero corso, formano un bacino a monte di essi, che dev'essere naturalmente molto profondo. Dopo essersi trattenuti per qualche tempo ad esaminare le particolarità del luogo, gli alpinisti ripresero la via e si trovarono poco dopo di fronte al colle di Papigno, arrestandosi molte volte a contemplare. le vedute pittoresche e veramente incantevoli di quel bellissimo sito.                                                                                  .

Giunti al ponte di Valle abbandonarono. la strada della Valnerina, passando dalla destra sulla sinistra del fiume, e per tortuosi sentieri transitarono la gola ristrettissima formata dai monti di Valle e di San­t'Angelo, gola che rappresenta uno dei più pittoreschi siti che mai si possa vedere. Non si può conyenientemente descrivere quanto di bello si trova in quel luogo; una descrizione anche minuta lascierebbe ad­dietro molti particolari e sarebbe sempre una pallidissima rappresentanza della realtà.       . .

Le pareti dei due monti sono tagliate quasi a picco, e là dove presen­tano una certa inclinazione sono ornate da numerose ed arditissime aguglie, da forti speroni. In molti luoghi massi enormi di roccia calcare si distaccarono dall'alto e caddero o sul fiume, o sul ristretto sentiero che si percorre, ovvero sopra cumuli di detrito che l'azione del tempo riuscì a formare coi materiali distaccatisi in precedenza dal monte. Una vegetazione molto ricca, mantenuta dalla soverchia umidità, dall'elevata temperatura della regione, che permette la coltura dell'arancio in piena terra, rende quel luogo bellissimo, sebbene già fosse stupendo per l'or­rido aspetto della roccia calcarea in mille guise frastagliata e tormentata da quei potenti ed edacissimi roditori del globo, che sono l'azione dell'acqua e dell'aria, del caldo e del freddo. In molti luoghi dove riuscì ad accumularsi un po' di terra vegetabile l'uomo ne ha tratto partito, e qua e là si vedono piccole aree tenute ad orto o piantate con alberi da frutto, ora in qualche isoletta o promontorio, ora sulle sponde del fiume, ora sorrette dagli scogli o da dighe artificiali di ciottoli. Le acque del fiume che scorrono inquiete nel letto del Nera, dove le concrezioni cal­caree sbarrano ad esse ad ogni tratto la via e procurano cateratte, ri­stagni, cascatelle, vortici, fanno un rumore assordante che accresce bellezza in quella confusione di roccie, di piante, di orti pensili, di canali e di chiuse.

Gli alpinisti osservarono ed ammirarono; dettero la scalata agli scogli, scesero sulle roccie che pescano nel fiume, raccolsero. molluschi, piante, tuberi, impronte fossili di foglie nelle concrezioni calcaree, esaminarono insomma ed insaccarono.

La comitiva giunse dipoi al ponte del Toro, costituitosi naturalmente per opera di enormi concrezioni calcaree mammellonacee, al disotto delle quali le acque del Nera, dopo essersi convogliate quelle del Velino, si spingono a forza entro ristretti cunicoli; gli alpinisti transitarono codesto ponte e si diressero a Pennarossa per esaminare di fronte ed in tutto il suo insieme una delle più belle, delle più maestose scene naturali, rap­presentata dalla caduta del Velino sul Nera. È là che i poeti, facendo il Nera di genere femminile, si compiacquero a cantarne in versi il suo matrimonio col Velino; è là che Byron, entusiasmato dalla splendida vista, ne dipinse con bellissimi versi i particolari, qualificando così la caduta:

 

Cateratta cui nulla è che s'adegui,

Orribilmente bella!

 

Dopo essersi trattenuti ad esaminare i più maestosi punti di vista, resi anche più belli da un sole splendidissimo e dalla copia rilevante delle acque del Velino, in conseguenza delle pioggie dei giorni decorsi, gli al­pinisti ripassarono il ponte naturale del Toro e salirono la rupe detta Piscina, fermandosi qua e là ad esaminare le concrezioni calcaree che fiancheggiano il ristretto sentiero, le escavazioni naturali a guisa di grotte esistenti nelle concrezioni medesime. Esaminarono pure il taglio fatto aprire nella rupe da Pio VI nel 1787, affinchè le acque del Velino, dopo aver formato la prima caduta, confluissero nel Nera ad angolo più acuto di quello col quale precedentemente vi si riunivano, e là non solo ebbero di che maravigliarsi per la copia grandissima delle acque che transita­vano, ma per la .velocità grandissima con cui venivano sospinte, urtando talmente sulle roccie e sul fondo del burrone in cui si precipitavano, da tremarne in modo sensibilissimo il suolo su cui gli alpinisti si trovavano ad osservare.

Accrescevano vaghezza e splendore a quella bellissima scena due stu­pendi ponti di luce, i quali coi colori smaglianti dell'iride riunivano le sponde opposte di quel burrone ed attraversavano le nubi di acqua pol­verizzata, che per .l'urto della. cateratta copiosamente si sollevava.

Dopo avere attraversato l'antico bacino Paolino, gli alpinisti si dires­sero ad osservare la caduta dalla Specola, dal qual luogo si gode una vista sorprendentissima, ed è là che meglio che altrove scorgesi il fiume Velino il quale, restando ad un tratto senza fondo, precipita nel sotto­posto burrone; le sue acque cadono spumeggiando a guisa di sfioccata bambage, e mentre la maggior parte con strepitoso fracasso raggiunge per ripide balze il sottoposto Nera, parte si solleva in nubi costituite di acqua finamente polverizzata, e ricade poi sotto forma di minutissima pioggia, bagnando il suolo tutto all'intorno e raccogliendosi in rigagnoli. e torrentelli numerosissimi.

Sarebbe impossibile descrivere le più minute ed interessanti partico­larità della maestosa e bellissima scena, bisogna vederla, per ritirarsi dipoi soddisfatti di avere assistito ad uno degli spettacoli più grandiosi  e stupendi che natura possa presentare, e che ha per di più il grandis­simo pregio di non costar nulla per essere preparato, e soltanto un po' di esercizio dei muscoli delle gambe per essere veduto. Gli alpinisti, dopo avere esaminato il fiume Velino al disopra della cateratta, là dove si trova ancora incanalato nella cava Curiana-Clementina, e dove le sue acque per la notevole inclinazione del letto scorrono velocissime a stra­mazzare sul Nera, si ritirarono dal contemplare tante bellezze naturali soddisfattissimi di avere impiegato così bene metà della giornata.

Era un'ora all'incirca dopo mezzodì; si stabilì di restare in riposo per un'ora di tempo, durante il quale si attese ad una modesta ma ristorante refezione imbandita all'aperta campagna ed alla luce diretta di uno splen­dido sole.

Alle 2 pomeridiane la comitiva si divise in due gruppi: uno, costituito di sei individui, fece l'ascensione del monte Sant'Angelo; l'altro, composto di tre persone, si diresse a Piediluco, con incarico di provvedere una barca, ritornare con questa al porto di Piediluco per attendere coloro che sarebbero discesi dal monte Sant'Angelo e dirigersi quindi tutti riu­niti nella località ove si ha il fenomeno naturale dell'Eco polifona.

Si ascese il monte Sant'Angelo dal lato sud-est, impiegando poco più di un'ora a guadagnarne la vetta: si attra,ersò in basso del monte una zona non molto estesa tenuta a bosco, e poi si camminò sulla roccia generalmente frammentata per l'opera lenta, ma continuamente ripetuta degli agenti atmosferici. Per quanto si cercassero reliquie organiche fos­sili, che altre volte furono in quello stesso monte raccolte, pure in quel giorno non si riuscì a trovarne alcuna.

La formazione geologica del monte Sant'Angelo spetta al periodo cre­taceo dell'epoca mesozoica, e si collega con il gruppo dei monti cretacei di Narni, che qualche geologo ritiene invece dell'epoca giurese. Nella vetta del monte fu eretto, nei secoli scorsi, un piccolo fortilizio con torri; però al giorno d'oggi è ridotto quasi per intiero ad uno sfasciume di sassi per opera dei fulmini e dei cercatori di tesori, che l'hanno rovi­nato in molti punti, cercando ricchezze che non erano che nella loro fantasia.

Il panorama che si gode da quell'altura di oltre 800 metri sul livello del mare è veramente sorprendente e porterebbe troppo in lungo a de­scriverlo.

Gli alpinisti che si trovarono su quell'altura godettero della splendida vista, e furono ben contenti di averne fatta. l'ascensione. Dopo essere ri­masti colassù per un tempo conveniente, e dopo aver raccolto qualche esemplare dei molluschi che pur vivono in quell'arida vetta, si discese rapidamente dal monte, si raggiunse di nuovo la strada. provinciale che conduce al porto del lago di Piediluco ed al paese; là ritrovarono i com­pagni, e tutti insieme si diressero alla base del monte Sant'Egidio che sta di fronte a Piediluco. Salirono il piccolo ripiano, da dove il fenomeno dell'eco meglio che altrove si fa sentire, e là fecero ripetere parole, versi, motti, considerando il tempo che un suono impiegava a farsi udire di nuovo, e valutando approssimativamente la distanza che intercedeva fra la superficie riflettente ed il luogo da cui il suono partiva.

L'eco polifona di Piediluco ripete distintamente un verso endecasillabo; si osservò peraltro che, pronunciando con rapidità e per due volte di se­guito la parola precipitevolissimevolmente, venivano dall'eco distintamente ripetute tutte le 22 sillabe.

Risaliti di nuovo in barca gli alpinisti furono condotti a Piediluco ove si trattennero per una mezz'ora. Alle 5 3/4 pomeridiane ripartivano per Terni; giunti alla località delle Marmore, visitarono due stupende grotte naturali aperte nelle concrezioni calcaree che le acque del Velino for­marono nelle epoche decorse, quando, invece di stramazzare sul Nera come oggi fanno, si estendevano libere sul piano delle Marmore, precipi­tando poi divise e per mille vie differenti sul sottoposto bacino del Toro.

Le due grotte visitate sono costituite da due spaziose fenditure alli­neate da nord a sud, nel senso dell'antica direzione delle acque. Sono adornate di meravigliose concrezioni calcaree a guisa di enormi stalattiti e stalagmiti, di lunghi colonnati, di stupendi panneggiamenti.

Vedendo codeste grotte mercè la luce data da alcuni fasci di fusti di canape, si ebbe un effetto sorprendente e veramente meraviglioso. Non si crederebbe, se il fatto non fosse vero, che l'acqua fu l'artefice abilis­simo che scolpì quelle grotte, che lavorò con pazienza straordinaria dat­torno a quelle colossali stalattiti, attorno a quei panneggiamenti veramente mirabili, a quelle colonne svelte ed eleganti, che pare sostengano il peso della parte superiore delle grotte. E per condurre a compimento cosifatto lavoro, che desterà sempre l'ammirazione e la maraviglia in coloro che sanno apprezzare le opere della natura, l'acqua non lavorò colla forza che può esplicare quando essa è raccolta in grande volume, ma sibbene con lentissimo stillicidio, a forza di una lunghissima serie di gocciole succedentisi le une alle altre, e con tanta lentezza, che la susseguente non guastasse il lavoro di quella che l'aveva preceduta. Quanto tempo deve aver pertanto richiesto la formazione di quelle stalattiti, una delle quali, a forma di enorme clava appesa alla volta, della lunghezza di una diecina di metri, misura oltre un metro e mezzo di diametro?

Dopo aver contemplato a dovere quelle maraviglie naturali, gli alpinisti ritornarono alla luce del giorno, che cominciava però ad imbrunire. Ri­presa la via per Terni, transitarono per Papigno, e dopo le ore 24 ab­bandonarono la strada provinciale per prendere la via di campagna, detta di Santa Maria Maddalena. Era una serata magnifica e la luna illuminava in quel giorno una seconda volta la strada agli alpinisti, che con passo celerissimo, per sentieri tortuosi, si dirigevano a Terni. Chi li avesse ve­duti camminare non avrebbe certamente creduto che le loro gambe avessero già misurato parecchi chilometri in piano, in colle ed in monte; eppure camminavano allora come nella mattina. Poco prima delle 8 di sera giunsero. a Terni; il treno passava alla stazione. alle 8,11; non vi era dunque tempo da perdere: attraversarono Temi e ritornarono con la corsa prefissa da Temi a Perugia.       ..'          .

Dopo la mezzanotte gli alpinisti furono alla stazione di Perugia; risalendo la strada per giungere in città, ritornarono col pensiero sull'operato dell'escursione del dì innanzi, e trovarono che avevano veduto scene. na­turali bellissime, una più stupenda dell'altra; sentito il fenomeno dell'eco polifona di Piediluco, che certamente non è tra le più comuni, raccolto molluschi (1), piante (2), impronte fossili, concrezioni calcaree, esercitate le gambe per un'estensione certamente non inferiore a 40 chilometri; cosicchè, sommato tutto, parve ad essi che non si poteva far di più per inaugurare degnamente le escursioni della sezione Umbra del Club Alpino Italiano.

 

GIUSEPPE BELLUCCI, socio della sezione di Perugia.

 

 

(1) I molluschi raccolti furono i seguenti: Helix nemoralis var. lutea; H. carthusianella; H. carthusiana; H. strigata; H. umbilicaris; H. ligata; H. aspersa; H. cinctella; H. rupestris; Ciclostoma elegans; Clausilia leucostgma; Zonites cellarius; Lymnoceus pereger; Pupa frumentum; P. avenacea. Furono determinati dal’autore.

(2) Le piante raccolte e trovate in fiore il giorno del’escursione furono le seguenti: Euphorbia characias; E. linearifolia; Lamium maculatum; L. purpureum; Arabis turrita; A. Muralis; Cyclamen europeum; Viola canina; Vinea major; Valium rotundifolium; G. mollugo; Synapis alba; Nepeta cataria; Asperula Cynanchica; Saxifraga tridactilites. Furono determinate dal professore A. Bruschi.